Addio a Carrea, l'ultimo «angelo di Coppi»

14.01.2013 15:44

Il 2 gennaio scorso era andato a rendergli omaggio a Castellania, come tutti gli anni, come in tutti questi 53 anni di lontananza. Ieri mattina Sandrino Carrea, uno dei due "angeli di Coppi", ha raggiunto il suo capitano. Con lui se va definitivamente un pezzo di storia d'Italia e di sport. Si chiude un'epoca fatta di strade non asfaltate e immagini in bianco e nero. Sandrino Carrea era "l'ultimo angelo" di Coppi. Con Ettore Milano è stato uno dei fedelissimi compagni di viaggio del Campionissimo. Per il Fausto, come solevano chiamarlo loro, avevano dato l'anima e poi avevano speso una vita a raccontarlo. Milano fino all'ottobre del 2011, Carrea fino a ieri mattina, quando il suo sogno è diventato eterno.
Uomo di fatica, prima in bici e poi nei campi, Carrea è stato per anni il prototipo ideale del gregario: solido, forte e leale. Il volto ruvido e asciutto di un faticatore indistruttibile e inossidabile. Mai una polemica, mai un lamento: solo riconoscenza per il Campionissimo. Era diventato l'ultimo esemplare di un'Italia contadina e coraggiosa che ieri mattina è definitivamente andata in soffitta, quando, attorno alle 4.30, Sandrino ha tagliato idealmente l'ultimo traguardo. 
Si chiamava Andrea, ma per tutti era Sandrino. Nato a Gavi, in provincia di Alessandria, il 14 agosto 1924, era entrato alla corte di Fausto Coppi passando per il fratello Serse, e poi grazie al suo impegno e alla sua solidità fisica e morale era diventato con Ettore Milano il gregario forte e fedele del Campionissimo. 
Una sola vittoria da professionista (una tappa al Giro di Romandia) e poi un giorno di gloria al Tour de France nel 1952: la maglia gialla, un traguardo che visse quasi con un senso di colpa verso il suo capitano. «Io non mi merito tanto, io non ho il fisico del ruolo», diceva imbarazzato anche a distanza di tempo. Una maglia sfilata a Fiorenzo Magni al termine della tappa di Losanna e consegnata a Coppi il giorno dopo.
Stava bene, e fino all'ultimo giorno Sandrino si era dato da fare: non era solito restare con le mani in mano. Sabato era andato a caccia. Era tornato a mani vuote, ma con il cuore pieno di serenità. Aveva paura di una sola cosa: soffrire. «Temo di rimanere a letto bloccato da qualche brutto male», soleva ripetere. Temeva di non essere più in grado di sopportare ulteriore passione. Forse, in cuor suo, pensava di aver già dato abbastanza. Ma il cambio di direzione da una vita all'altra è stato impercettibile. Un cambio di direzione leggero come quei suoi racconti interminabili sul Fausto, «il più grande di tutti». Racconti che sembravano fiabe. Ricordi e aneddoti tratti da un libro mai scritto che pareva essere eterno: ieri la parola fine.

Da Ilgiornale.it